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Chi, come noi, lavora quotidianamente con CMS e piattaforme e-commerce, ha sempre visto in PrestaShop un baluardo della filosofia open source nel mondo del commercio digitale. Una piattaforma robusta, self-hosted, altamente personalizzabile, pensata per dare a sviluppatori, agenzie e merchant il pieno controllo sul proprio store online. A differenza delle soluzioni SaaS, dove l’infrastruttura, il codice e le funzionalità sono spesso blindate, PrestaShop ha sempre offerto la possibilità di modellare l’eCommerce su misura, adattandolo a esigenze specifiche sia lato frontend che backend.
Tuttavia, le recenti evoluzioni introdotte da PrestaShop SA, in particolare con il lancio del PrestaShop Integration Framework, fanno presagire un cambio di rotta strategico importante – e per certi versi preoccupante – che merita una riflessione approfondita da parte di chi ha a cuore l’autonomia e l’indipendenza tecnologica delle imprese online.
Un po’ di storia: dalle radici open alla svolta corporate
PrestaShop nasce a Parigi nel 2007, in un contesto in cui le piattaforme eCommerce open source erano ancora poche, complesse da gestire, spesso pensate per grandi imprese e poco accessibili alle PMI. L’idea fondante del progetto era tanto semplice quanto rivoluzionaria: democratizzare il commercio elettronico, offrendo una soluzione che fosse allo stesso tempo gratuita, potente, scalabile e realmente personalizzabile. Una piattaforma che consentisse anche al piccolo negozio, alla startup o all’artigiano digitale di avviare un’attività online senza dover affrontare i costi e le rigidità delle soluzioni proprietarie o enterprise.
Distribuito sotto licenza OSL (Open Software License), PrestaShop si è imposto rapidamente grazie a una serie di caratteristiche tecniche e funzionali che lo distinguevano dalle alternative presenti sul mercato: un core leggero e modulare, una struttura MVC chiara, un’interfaccia di amministrazione accessibile anche ai non sviluppatori, e soprattutto una flessibilità architetturale che ha reso semplice l’estensione tramite plugin, moduli, override e personalizzazioni. Il suo modello, orientato alla community, ha attratto migliaia di sviluppatori in Europa e nel mondo, contribuendo a costruire un ricco ecosistema di estensioni e temi. In pochi anni, PrestaShop è diventato l’alternativa europea per eccellenza a soluzioni come Magento, conquistando quote significative in mercati strategici come Francia, Spagna, Italia e America Latina.
Tuttavia, nel 2021, avviene un cambiamento significativo: MBE Worldwide (Mail Boxes Etc.), gruppo multinazionale specializzato in logistica, spedizioni e servizi alle imprese, acquisisce PrestaShop SA. Questo evento rappresenta un cambio di paradigma nella governance del progetto, che passa da un modello incentrato sulla community a uno fortemente orientato al business e alla monetizzazione. L’obiettivo – sempre più evidente con il passare del tempo – è quello di trasformare PrestaShop da semplice CMS open source a piattaforma PaaS (Platform-as-a-Service).
Questa nuova visione si traduce in una strategia più centralizzata, in cui PrestaShop SA accentra lo sviluppo di moduli “ufficiali”, promuove l’utilizzo di servizi integrati a pagamento e introduce strumenti pensati per rendere la gestione più semplice ma anche più vincolata. Si va così verso un ecosistema in cui hosting, aggiornamenti, moduli e persino l’interazione con il marketplace passano da canali proprietari, creando una dinamica in cui l’utente finale – merchant o sviluppatore – diventa progressivamente più dipendente dalle scelte dell’azienda madre.
Anche se questa evoluzione non è mai stata annunciata esplicitamente come un passaggio al modello SaaS, le analogie con soluzioni come Shopify sono sempre più marcate. L’introduzione del PrestaShop Integration Framework, la spinta all’utilizzo di moduli “certificati”, l’accorpamento di funzionalità cloud-based e la differenziazione tra versioni GitHub e scaricabili dal sito ufficiale, sono tutti segnali di un percorso verso una piattaforma più chiusa, meno orientata alla libertà e all’indipendenza tecnica che da sempre hanno rappresentato il cuore pulsante dell’open source.
Se questo percorso dovesse arrivare a compimento, PrestaShop cambierebbe radicalmente natura, perdendo la sua anima originaria di piattaforma libera, flessibile e comunitaria per diventare un prodotto commerciale a tutti gli effetti. Una trasformazione che non potrà non avere impatti profondi sul suo futuro e sull’intero ecosistema che negli anni lo ha reso una delle soluzioni eCommerce più diffuse in Europa.
PrestaShop Integration Framework
Il PrestaShop Integration Framework è un componente introdotto a partire dalla versione 8 del CMS con l’obiettivo di standardizzare e modernizzare il modo in cui i servizi esterni si integrano con PrestaShop. Tecnicamente, si tratta di un set di interfacce, adapter e strutture dati progettate per disaccoppiare le integrazioni dal core della piattaforma, migliorare la manutenibilità del codice e garantire maggiore coerenza nello sviluppo di moduli e connettori. Questo approccio favorisce la creazione di estensioni più robuste, testabili e compatibili nel tempo, soprattutto in scenari in cui PrestaShop viene utilizzato in ambienti enterprise, multi-store o gestiti.
Uno degli aspetti più rilevanti del framework è il suo orientamento a supportare ambienti cloud-based e architetture centralizzate, tipici delle soluzioni PaaS (Platform-as-a-Service). Secondo la documentazione ufficiale, il framework è stato pensato per funzionare anche in contesti dove PrestaShop viene fornito come servizio gestito o integrato all’interno di una piattaforma più ampia, dove il fornitore controlla infrastruttura, aggiornamenti e servizi connessi.
Dal punto di vista funzionale, il framework introduce concetti come IntegrationDefinition
, IntegrationHandler
e IntegrationConfiguration
, che permettono di descrivere e orchestrare l’integrazione di servizi di terze parti (pagamenti, logistica, ERP, CRM, ecc.) in modo strutturato e, soprattutto, potenzialmente certificato o controllato. Ciò significa che in futuro le estensioni potrebbero dover aderire a determinati standard imposti da PrestaShop SA per poter essere pienamente compatibili o pubblicabili nel marketplace ufficiale.
Questo approccio, se da un lato migliora la qualità e la coerenza del codice, dall’altro apre la strada a una progressiva centralizzazione dell’ecosistema, in cui PrestaShop SA diventa l’unico garante della compatibilità e della distribuzione. È il classico modello PaaS: gli utenti continuano a interagire con il software, ma l’ambiente operativo, le API, le estensioni e i flussi dati sono controllati da un’infrastruttura centrale, con un livello di libertà inferiore rispetto al tradizionale modello self-hosted.
PrestaShop Integration Framework rappresenta un’evoluzione tecnologica significativa, ma anche un cambio di paradigma: dalla flessibilità assoluta a un’architettura più rigida e “guidata”, che potrebbe ridurre l’autonomia degli sviluppatori e spingere l’intero progetto verso un modello ibrido o completamente PaaS, più simile a Shopify o Adobe Commerce Cloud che a un classico CMS open source.
Dalla community al controllo: un chiaro obiettivo di monetizzazione
Con l’introduzione del PrestaShop Integration Framework, il disegno inizia a delinearsi con maggiore chiarezza: ridurre il grado di libertà degli sviluppatori, incentivare l’utilizzo di moduli e servizi integrati e avviare una transizione verso un modello più redditizio per la casa madre. Questo framework punta infatti a standardizzare l’integrazione di servizi esterni attraverso un set di API e pratiche che, sebbene utili sotto il profilo architetturale, risultano anche più controllabili e monetizzabili.
Il rischio evidente è quello di trasformare l’intero ecosistema in un ambiente “chiuso” in cui ogni estensione o servizio richiede approvazione, certificazione o pagamento. In altre parole, ci stiamo avvicinando a un modello in cui il core è libero solo in apparenza, ma il valore aggiunto è vincolato da dinamiche commerciali. Questo tipo di evoluzione ha già portato molti CMS open source verso una lenta ma inesorabile deriva: meno codice libero, più servizi premium.
Due PrestaShop, due direzioni
Oggi ci troviamo di fronte a una situazione paradossale: esistono di fatto due versioni differenti di PrestaShop, con obiettivi, logiche e contenuti tecnici non sempre allineati. Da un lato abbiamo la versione open source pubblicata su GitHub, quella storica, ufficiale, trasparente e tracciabile. È ancora aggiornata con regolarità e viene mantenuta, almeno formalmente, con il contributo della community internazionale di sviluppatori. Qui il codice è completamente ispezionabile, gli sviluppatori possono aprire issue, proporre pull request, e l’evoluzione del progetto segue (almeno in teoria) un modello collaborativo, in linea con lo spirito open source originario.
Dall’altro lato, troviamo la versione scaricabile dal sito ufficiale prestashop.com, spesso definita in modo non ufficiale come “MBE Edition”. Questa variante include una serie di modifiche rispetto al core, tra cui moduli commerciali preinstallati, strumenti di tracking, interfacce integrate per servizi esterni e pacchetti ottimizzati per favorire la monetizzazione di determinati flussi. Le scelte tecniche e funzionali di questa versione riflettono un approccio più orientato al business, con una spinta verso servizi integrati e potenzialmente vincolanti.
Questa dualità crea una frattura evidente: chi scarica PrestaShop da GitHub ottiene un prodotto relativamente “pulito”, fedele al modello open source. Chi invece scarica dal sito ufficiale riceve una piattaforma modificata, con logiche e dipendenze non documentate nel repository pubblico. Il risultato è una pericolosa divergenza: incompatibilità tra moduli, problemi nella manutenzione, ambiguità negli aggiornamenti e una crescente incertezza su quale sia la versione da considerare “standard”. In prospettiva, questo scenario potrebbe portare alla nascita di fork alternativi o alla frammentazione definitiva del progetto, compromettendo l’ecosistema tecnico e commerciale costruito negli anni attorno a PrestaShop.
Cosa rischiamo di perdere?
La progressiva transizione di PrestaShop verso un modello ibrido o completamente PaaS/SaaS comporta una perdita concreta di controllo, sia per chi sviluppa sia per chi gestisce uno store online. Storicamente, uno dei principali punti di forza di PrestaShop è sempre stato il suo essere interamente self-hosted: una piattaforma che poteva essere installata ovunque, gestita liberamente, modificata in profondità e integrata con qualsiasi sistema esterno – che si trattasse di un ERP, di un sistema di pagamento non convenzionale o di flussi personalizzati di logistica.
Questa libertà tecnica ha permesso a migliaia di merchant e system integrator di costruire soluzioni altamente performanti, sicure e su misura, senza dipendere da infrastrutture centralizzate o da provider imposti. Ha significato poter scegliere il proprio stack tecnologico, ottimizzare database e web server in base alle reali esigenze del progetto, e gestire gli aggiornamenti con gradualità e consapevolezza, evitando rotture improvvise o funzionalità imposte.
Se invece PrestaShop seguirà le orme di soluzioni come Shopify o BigCommerce, questa flessibilità verrà inevitabilmente compromessa. L’accesso al codice potrebbe diventare parziale o mediato, rendendo difficile (se non impossibile) apportare modifiche avanzate. Le personalizzazioni potrebbero essere vincolate a un set predefinito di funzionalità approvate, e gli aggiornamenti forzati – gestiti da remoto – potrebbero introdurre modifiche incompatibili con sviluppi precedenti o soluzioni custom.
Inoltre, i moduli e le estensioni potrebbero essere disponibili solo attraverso marketplace ufficiali, soggetti a logiche di certificazione, revenue sharing e – inevitabilmente – a costi ricorrenti. Questo scenario non solo limita la libertà tecnica, ma rallenta l’innovazione e pone barriere economiche che penalizzano le realtà più piccole o indipendenti. Per chi lavora in contesti dove sono richieste integrazioni complesse, compliance normativa (GDPR, PSD2, ecc.), o performance di alto livello, un PrestaShop ingabbiato in un modello SaaS rischia di diventare inutilizzabile.
Le alternative ci sono già
Nel panorama attuale del commercio elettronico, le alternative non mancano, ed è importante riconoscere che ogni modello – SaaS, self-hosted o ibrido – ha già oggi le sue piattaforme di riferimento, mature e collaudate. Per chi cerca una soluzione chiavi in mano, pronta all’uso, con gestione centralizzata e un’interfaccia semplificata, esistono opzioni consolidate come Shopify, che è nata proprio con questo approccio e lo porta avanti con coerenza. In Shopify tutto è controllato, curato e supportato, con aggiornamenti automatici, sicurezza gestita, hosting incluso e un marketplace ben strutturato – a fronte, naturalmente, di una perdita totale di libertà e personalizzazione del codice.
Per contro, chi desidera pieno controllo sull’infrastruttura, sulle performance, sulla sicurezza e sull’ecosistema software può rivolgersi a soluzioni davvero open source, come WooCommerce su WordPress, Magento Open Source (Adobe Commerce) o, ancora oggi, la versione GitHub di PrestaShop. Queste piattaforme offrono la libertà di scegliere dove e come ospitare il proprio store, di costruire logiche personalizzate, di scalare l’architettura in base al traffico reale e di integrare qualsiasi sistema, senza passare da alcun intermediario.
La forza del modello self-hosted è tutta qui: poter scegliere, ottimizzare, integrare, innovare. È il modello preferito da chi lavora con clienti enterprise, da chi sviluppa soluzioni su misura, da chi ha bisogno di un ambiente che cresca in modo organico con il business.
Al contrario, un’ibridazione mal concepita, che cerca di mescolare la semplicità del SaaS con la flessibilità dell’open source, finisce spesso per generare piattaforme incoerenti, piene di limitazioni tecniche, difficili da mantenere e poco appetibili sia per gli sviluppatori che per i merchant. Questo tipo di compromesso non soddisfa né chi cerca una soluzione semplice, né chi cerca una base solida da personalizzare.
In questo scenario, se PrestaShop continuerà a spingersi verso una direzione ibrida, senza una visione chiara e rispettosa del proprio DNA, rischia di perdere la sua identità storica. E con essa, anche la fiducia della sua community di riferimento: quella fatta di sviluppatori indipendenti, agenzie digitali e merchant esperti che, finora, l’hanno resa una delle piattaforme open source più diffuse in Europa.
Conclusioni (e un appello)
Noi di Managed Server SRL viviamo ogni giorno sul campo la realtà dei CMS e delle piattaforme eCommerce. Lavoriamo con PrestaShop da anni, curando in modo maniacale ogni aspetto legato alle performance, alla stabilità e alla scalabilità degli store dei nostri clienti. Offriamo infrastrutture dedicate, caching avanzato lato server, tuning del database MySQL, configurazioni PHP personalizzate e monitoraggio costante per garantire sempre la massima reattività e affidabilità. Ma tutto questo lavoro – tecnico, profondo, sartoriale – è reso possibile solo grazie alla natura open e self-hosted di PrestaShop.
Nel momento in cui il software dovesse evolvere verso un modello chiuso, controllato centralmente o parzialmente vincolato da logiche commerciali esterne, questo tipo di ottimizzazione diventerebbe sempre più difficile, se non impossibile. Le personalizzazioni verrebbero limitate, le integrazioni su misura ostacolate, e il valore stesso dell’infrastruttura perderebbe rilevanza a favore di soluzioni preconfezionate e poco flessibili. In tal caso, saremmo costretti a ripensare le soluzioni da proporre, privilegiando altri CMS realmente aperti e collaborativi.
Ci auguriamo che PrestaShop SA comprenda fino in fondo il valore della propria community, quella fatta di sviluppatori, agenzie, system integrator e merchant che hanno reso possibile il successo del progetto in tutti questi anni. Abbandonare questo tessuto vivo, dinamico e tecnicamente preparato per inseguire modelli di business più chiusi potrebbe rivelarsi un errore strategico irreversibile.
Finché esisterà la possibilità di scegliere, configurare e migliorare liberamente, noi continueremo a difendere e sostenere l’open source. E continueremo a offrire ai nostri clienti soluzioni ad alte prestazioni, realmente su misura e soprattutto libere – perché crediamo che la libertà tecnologica sia la base di ogni innovazione solida e sostenibile nel tempo.