Indice dei contenuti dell'articolo:
Introduzione
Per oltre vent’anni, blog personali, riviste online e portali tematici hanno rappresentato una delle colonne portanti del web. Non solo come fonte di informazione alternativa rispetto ai media tradizionali, ma anche come laboratorio di opinioni, esperienze, specializzazioni verticali e passione autentica.
Oggi, però, il panorama sta cambiando radicalmente. L’intelligenza artificiale generativa sta rivoluzionando non solo il modo in cui si scrivono i contenuti, ma anche il modo in cui vengono fruiti. L’articolista umano, che prima faceva ricerca, scriveva, citava, analizzava e pubblicava, viene sempre più spesso sostituito da modelli linguistici automatizzati. E mentre cambiano le abitudini degli utenti e l’economia del traffico online, crollano le certezze di chi ha fatto del web publishing il proprio mestiere.
Dalla penna all’algoritmo: la sostituzione degli articolisti
Il primo segnale di questo cambiamento riguarda la figura dell’articolista. Se una volta i contenuti online erano frutto del lavoro umano — talvolta appassionato, altre volte professionale e remunerato — oggi l’adozione di strumenti basati su intelligenza artificiale come ChatGPT, Claude, Gemini, Jasper e altri ha completamente stravolto la dinamica.
Le aziende editoriali, i blog indipendenti e persino i portali istituzionali stanno integrando (o sostituendo) la produzione umana con testi generati automaticamente. Il vantaggio è ovvio: riduzione dei costi, produzione scalabile, aggiornamenti continui e possibilità di coprire tematiche in modo rapido e superficiale, spesso sufficiente per attrarre clic e monetizzare.
Ad esempio, se ti stessi chiedendo chi ha scritto questo articolo, bè potremmo dire ChatGPT con questo prompt :
Ma a quale prezzo?
Il rischio dell’appiattimento
I contenuti generati da AI, per quanto grammaticalmente corretti e ben strutturati, tendono a riprodurre pattern preesistenti. L’intelligenza artificiale non ha esperienza diretta, non ha opinioni né passione: rielabora quanto già scritto, attingendo a un bacino di conoscenza costruito sui testi umani. Il risultato è una marea di articoli “neutri”, privi di vera originalità o analisi critica.
Molti blog, una volta fucine di opinioni di nicchia o visioni fuori dal coro, stanno progressivamente scomparendo o diventando indistinguibili tra loro, trasformandosi in aggregatori automatici di contenuti.
Il ruolo delle agenzie stampa e dei “blog autentici”
Paradossalmente, in un mondo dove l’AI domina la produzione di contenuti, le fonti primarie restano inalterate. Le agenzie stampa (Reuters, ANSA, Associated Press, Bloomberg, ecc.) continuano a produrre notizie con metodi tradizionali: giornalisti sul campo, verifiche, dichiarazioni, comunicati ufficiali.
Ed è da queste fonti che le AI traggono gran parte del materiale su cui lavorare. In secondo piano, ma non meno importanti, restano alcuni blog di settore — spesso esteri — scritti ancora da appassionati, esperti o tecnici che pubblicano per amore del tema trattato, più che per interesse economico.
Questi pochi baluardi dell’autenticità vengono però cannibalizzati: gli stessi contenuti vengono rapidamente ripresi da sistemi automatici, riformulati, pubblicati altrove e indicizzati da Google. Spesso il lettore non arriva mai alla fonte originale, e il blog che ha generato per primo l’idea finisce per essere oscurato da una copia algoritmica.
Il declino della ricerca su Google: AI come motore di risposta
Parallelamente alla rivoluzione nella produzione dei contenuti, assistiamo a un cambiamento profondo nel modo in cui gli utenti accedono all’informazione. Google, da sempre punto di riferimento per la ricerca online, sta vivendo una trasformazione epocale.
Nato come motore “neutro” e democratico, Google ha costruito il suo successo su un algoritmo (PageRank) che premiava la qualità, l’autorevolezza e la pertinenza dei contenuti. I primi risultati erano spesso blog, forum, pagine di approfondimento create da utenti reali e indicizzate in base a link e contenuti effettivamente utili.
Nel tempo, Google ha integrato progressivamente logiche commerciali, inserzioni sponsorizzate, snippet e risposte rapide, cercando di trattenere l’utente sulla SERP e limitare i clic esterni. Ma è con l’introduzione dell’intelligenza artificiale, e in particolare della Search Generative Experience (SGE), che si è assistito a una vera e propria svolta.
Con l’intelligenza artificiale, sempre più utenti ottengono risposte direttamente nella SERP, senza mai cliccare sui risultati. Google non è più solo un motore di ricerca, ma diventa un motore di risposta, un sistema che sintetizza, riformula e propone contenuti — spesso generati o rielaborati da modelli linguistici — senza far transitare il lettore sui siti originali.
Questo approccio, pur comodo per l’utente medio, mette in crisi l’intero ecosistema dell’informazione: i siti non ricevono traffico, i contenuti originali vengono “riassunti” senza attribuzione evidente, e l’incentivo a produrre valore informativo si riduce drasticamente. A lungo termine, è un boomerang anche per Google stesso, che rischia di rimanere privo di contenuti nuovi e aggiornati da cui attingere.
Il crollo del traffico organico
Chi scrive articoli oggi nota un drastico calo del traffico organico. Non si tratta di un problema tecnico, ma di un cambiamento strutturale: l’utente non ha più bisogno di cliccare su un link se riceve già la risposta generata da Google stesso.
Ciò penalizza proprio quei siti che vivevano del traffico proveniente dai motori di ricerca: blog tematici, riviste online, piccoli editori digitali. Anche chi investiva in contenuti di qualità si ritrova ora escluso da una partita in cui a vincere è chi riesce ad essere fonte “grezza” per i modelli AI — oppure chi genera contenuti ad alto volume, sacrificando la qualità.
A peggiorare il quadro c’è anche la progressiva perdita di fiducia nel valore del posizionamento organico. Gli aggiornamenti algoritmici di Google hanno reso imprevedibile la visibilità di un contenuto, premiando in modo opaco siti talvolta generici, talvolta costruiti per scalare artificialmente le SERP. Questo genera frustrazione in chi produce articoli con cura e competenza, ma vede il proprio lavoro sommerso da pagine senz’anima o da risposte AI direttamente in pagina.
Inoltre, l’effetto di accorciamento dell’attenzione — stimolato proprio dalle risposte sintetiche offerte nella SERP — porta gli utenti a cercare scorciatoie informative, riducendo ulteriormente il tempo speso sui siti esterni. La visita al sito diventa l’eccezione, non più la regola. E per chi pubblica online, ogni clic mancato equivale a un’opportunità persa di fidelizzazione, lettura, condivisione o monetizzazione.
Addio AdSense? Il modello pubblicitario in crisi
In passato, lo sforzo di scrivere contenuti originali e ben posizionati su Google era ricompensato dalla monetizzazione tramite circuiti pubblicitari come Google AdSense. I banner, gli annunci contestuali e i video generavano entrate in base al traffico e alla profilazione degli utenti.
Il funzionamento era relativamente semplice ma efficace: più un contenuto era utile, ben scritto e ottimizzato, più saliva nei risultati di ricerca. Maggiore era il traffico organico, maggiori erano le visualizzazioni degli annunci, e quindi i guadagni. Questo circolo virtuoso spingeva i blogger, i redattori indipendenti e i piccoli editori a investire tempo e risorse nella produzione di contenuti di qualità, nella SEO e nella cura dell’esperienza utente. Era un ecosistema in cui ogni attore — Google, l’autore, il lettore e l’inserzionista — beneficiava di un equilibrio sostenibile, alimentato da una dinamica meritocratica.
Oggi questo modello è in crisi. Con meno clic sui siti, meno visualizzazioni e meno tempo di permanenza sulle pagine, anche le entrate pubblicitarie crollano. Inoltre, molti utenti usano ad-blocker, e Google stesso ha introdotto il concetto di “esperienza pubblicitaria accettabile”, limitando l’invadenza degli annunci.
Il risultato è un ecosistema che non si autosostiene più: i contenuti di qualità non generano più traffico sufficiente, i clic calano, gli annunci fruttano cifre irrisorie, e l’autore non ha più incentivo a produrre nuovo materiale. Scrivere articoli per guadagnare con AdSense non è più una prospettiva realistica per la maggior parte dei blogger e piccoli editori. Restano a galla solo i grandi network editoriali o chi ha trovato nicchie molto remunerative, spesso a discapito della genuinità e della varietà dell’informazione online.
L’illusione del content marketing e il ritorno dei “portali satellite”
Un’altra tendenza nata in risposta a questo cambiamento è l’aumento del cosiddetto content marketing: articoli scritti non per informare o appassionare, ma per posizionare un brand, spingere un prodotto o migliorare la SEO di un e-commerce.
A prima vista potrebbe sembrare una strategia vincente. In realtà, anche questo mercato è inflazionato: migliaia di siti generano contenuti artificiali al solo scopo di ospitare link affiliati o guest post. Spesso si tratta di portali senza identità, nati per ospitare articoli “usa e getta”, contenenti keyword e backlink.
È una spirale discendente: più si riduce il valore reale dei contenuti, più gli utenti si disaffezionano. E senza utenti, anche il content marketing muore.
C’è ancora speranza per i blog?
La domanda resta aperta: i blog e l’editoria online indipendente sono destinati a scomparire? Oppure ci sarà una rinascita, una selezione darwiniana che premierà solo chi saprà fare la differenza?
Le nicchie verticali come unica via di salvezza
In un panorama saturo e omologato, forse l’unica speranza per i blog è rappresentata dalla verticalità estrema. Blog specialistici, scritti da veri esperti, con contenuti che l’intelligenza artificiale non può replicare facilmente — perché basati su esperienze, test, analisi originali — potrebbero ancora sopravvivere e trovare pubblico.
Pensiamo a blog tecnici, medici, giuridici, artigianali o legati a hobby particolari. Laddove c’è conoscenza concreta, documentata e unica, l’AI può ancora essere un supporto, ma non un sostituto.
Community e mailing list: il ritorno alla relazione diretta
Molti editori digitali stanno tornando a modelli pre-social: costruire una community fedele, inviare newsletter settimanali, creare contenuti riservati per i lettori paganti. Anche piattaforme come Substack e Patreon si muovono in questa direzione, offrendo agli autori strumenti per monetizzare direttamente il rapporto con il proprio pubblico, senza dover passare per l’intermediazione di algoritmi, piattaforme pubblicitarie o social network.
La logica è semplice: se Google non ti premia più, devi costruirti il tuo pubblico, fidelizzarlo, offrirgli valore aggiunto e contenuti realmente desiderati. Questo approccio richiama i tempi in cui il rapporto tra chi scriveva e chi leggeva era diretto, personale, basato sulla fiducia e sull’autorevolezza conquistata sul campo.
A differenza della logica “broadcast” dei social — dove il contenuto si disperde e viene valutato da meccanismi imperscrutabili — la mailing list crea un canale proprietario e stabile, che nessun algoritmo può oscurare. Ogni iscritto è una scelta consapevole, una manifestazione di interesse reale verso l’autore o il tema trattato.
Inoltre, in un panorama saturo di contenuti automatizzati e impersonali, l’autenticità diventa un asset raro. Chi riesce a stabilire una voce riconoscibile, una narrazione coerente e un contatto umano con i propri lettori può costruire una relazione duratura, più resistente agli shock tecnologici e alle mode algoritmiche. È un ritorno alle radici del web: meno traffico volatile, più legami solidi. Meno click, più connessioni.
Conclusione: una trasformazione irreversibile
L’era dei blog come li conoscevamo è probabilmente finita. Non spariranno tutti, ma la gran parte dei progetti amatoriali o semi-professionali è destinata a morire o a trasformarsi profondamente. Il modello del singolo autore che pubblica contenuti in autonomia, sperando di raggiungere visibilità organica e qualche entrata pubblicitaria, non è più sostenibile nel contesto attuale.
L’intelligenza artificiale ha alterato per sempre il modo in cui si crea e si consuma informazione. Le metriche che fino a ieri premiavano l’originalità, l’approfondimento e la qualità autoriale, sono oggi rimpiazzate da logiche di sintesi automatica, consumo rapido, superficialità algoritmica e apparenza SEO-driven. I contenuti sono sempre più prodotti per “l’algoritmo”, non per le persone.
Tuttavia, in ogni crisi c’è anche un’opportunità: i pochi blog che sapranno reinventarsi, investire sulla qualità vera e non replicabile, e costruire relazioni genuine con i propri lettori, potranno ritagliarsi un nuovo spazio. Più piccolo, forse. Ma anche più autentico, più umano, più solido.
Il futuro dell’editoria online non è scritto. Dipenderà da come gli autori — umani — sapranno adattarsi, differenziarsi, e soprattutto tornare a fare ciò che un algoritmo non può fare: vivere esperienze, provare emozioni, trarre conclusioni critiche e raccontarle con empatia e visione.
Nel tempo della standardizzazione automatizzata, l’unicità sarà la vera rivoluzione.