21 Maggio 2025

Shopify è davvero la scelta migliore per il tuo eCommerce?

Molti imprenditori digitali si stanno lasciando sedurre da Shopify per semplicità e rapidità. Ma è davvero la soluzione ideale per ogni business online? Ecco cosa devi sapere prima di migrare su una piattaforma SaaS.

Indice dei contenuti dell'articolo:

Introduzione

Negli ultimi anni, Shopify è diventata sinonimo di “eCommerce facile”. Basta cercare su Google o guardare qualche video su YouTube per imbattersi in tutorial entusiasti che promettono di lanciare uno shop online in poche ore, con pochi clic, senza scrivere una riga di codice e con costi mensili dichiarati come “alla portata di tutti”. La promessa è allettante: nessuna complicazione tecnica, nessuna infrastruttura da configurare, niente aggiornamenti da gestire, e soprattutto una sensazione costante di essere accompagnati passo dopo passo da una piattaforma ben oliata.

Questa narrativa – semplice, rassicurante, immediata – ha convinto migliaia di commercianti, freelance, aspiranti imprenditori digitali e startup a scegliere Shopify come piattaforma per vendere online. Spesso si tratta di una prima esperienza nel mondo dell’eCommerce, e proprio per questo l’appeal di una soluzione chiavi in mano sembra la scelta migliore. In moltissimi casi, questa scelta si traduce nell’abbandono – talvolta frettoloso – di soluzioni open source come WooCommerce, Magento, PrestaShop o OpenCart, considerate erroneamente troppo complesse o obsolete.

Ma la realtà, come spesso accade nel mondo digitale, è molto più sfaccettata di quanto possa sembrare leggendo una brochure o ascoltando uno sponsor su TikTok. Shopify funziona? Certamente. Ma per chi? Fino a che punto? E a quale prezzo, nel medio-lungo periodo? È proprio su queste domande che vale la pena riflettere con attenzione prima di scegliere una piattaforma che diventerà il cuore pulsante del tuo business online.

Se stai pensando di avviare un negozio online, oppure – ancora più delicato – stai valutando una migrazione da una piattaforma self-hosted a Shopify, è fondamentale avere tutte le informazioni sul tavolo. Questo articolo è pensato esattamente per questo: per aiutarti a capire cosa c’è davvero dietro le quinte di Shopify, quali sono i limiti strutturali che spesso emergono solo dopo mesi di utilizzo reale, e perché, in molti casi, una soluzione open source e self-hosted può rivelarsi non solo più potente, ma anche più economica, più scalabile e, soprattutto, completamente tua.

Parleremo di libertà tecnologica, costi nascosti, personalizzazioni reali, controllo dell’infrastruttura, performance, SEO, e di tutti quegli aspetti che troppo spesso vengono ignorati in fase di scelta iniziale, salvo poi diventare i principali motivi di frustrazione. Perché sì, aprire uno shop online è facile. Ma farlo crescere, renderlo performante, adattarlo a un progetto ambizioso e mantenerlo competitivo nel tempo… è un’altra storia. E Shopify, per quanto ben confezionata, non è sempre la protagonista giusta per quel tipo di storia.

Shopify è semplice ! Ma a che prezzo? Quali rinunce ?

È indubbio che Shopify abbia conquistato una fetta importante del mercato eCommerce grazie a un’esperienza utente progettata per essere il più semplice e accessibile possibile. La sua interfaccia è chiara, moderna e intuitiva, la procedura di configurazione iniziale è guidata passo dopo passo, e include tutto ciò che serve per mettere online uno store base in tempi record. Non serve un hosting esterno, né un dominio configurato manualmente, né tantomeno avere conoscenze tecniche specifiche: Shopify centralizza tutto, dall’infrastruttura al pannello di gestione, rendendo immediato l’accesso al commercio elettronico anche per i meno esperti.

Sono disponibili dozzine di temi predefiniti, molti dei quali responsive e compatibili con i principali strumenti di marketing. In pochi minuti è possibile caricare prodotti, assegnare categorie, impostare metodi di pagamento, scegliere un layout accattivante e… iniziare a vendere. A un occhio inesperto – o a chi ha urgenza di lanciarsi – tutto questo può sembrare la soluzione ideale.

La narrazione dominante è chiara: nessun server da configurare, nessun plugin da aggiornare manualmente, niente cron job da impostare, nessun backup da pianificare, nessuna configurazione da ottimizzare. Tutto “funziona da solo”. E a una prima occhiata, sembra davvero così.

Ma proprio questa apparente perfezione è il punto critico: la comodità iniziale ha un costo nascosto, che spesso non viene comunicato con la dovuta trasparenza. Un costo che non è solo economico, ma strategico. Quando tutto è gestito da un sistema chiuso, non sei tu a governare il tuo eCommerce: sei un inquilino in affitto dentro l’ecosistema di qualcun altro.

Il prezzo reale di questa semplicità si paga in termini di libertà, scalabilità e controllo. Tutto ciò che inizialmente viene visto come “una cosa in meno di cui occuparsi” – l’accesso al server, la possibilità di intervenire sul codice, la gestione del database, la struttura delle URL, le API, i cron job – si trasforma, col tempo, in una lunga lista di funzionalità a cui devi rinunciare.

1. Lock-in tecnologico: una gabbia dorata

Una delle criticità più gravi di Shopify – e una delle meno pubblicizzate – è il lock-in tecnologico. In parole semplici, significa che una volta dentro, uscire è difficile. Shopify è una piattaforma chiusa e proprietaria: non ti appartiene nulla di ciò che costruisci, se non i contenuti stessi (testi, immagini, anagrafiche clienti e prodotti). Tutto il resto – design, funzionalità, infrastruttura, logica applicativa – resta nelle mani della piattaforma. Questo ha implicazioni molto serie per chi pensa in ottica di lungo periodo.

Dati non portabili

Sebbene Shopify consenta l’esportazione di alcuni dati, come i prodotti e gli ordini, questi vengono estratti in formato CSV molto basilare. Ma non è solo questione di formato: tutto ciò che riguarda le relazioni tra entità, le configurazioni specifiche, i metadati, le impostazioni SEO, le varianti complesse, le immagini associate, i custom field – viene in gran parte perso o degradato.

Ad esempio, un prodotto con varianti legate a tag, categorie dinamiche e prezzi personalizzati per cliente, una volta esportato da Shopify, diventa un ammasso di righe scollegate in un foglio di calcolo. Se provi a importarlo in WooCommerce o Magento, scoprirai che nulla torna come prima: occorrono ore – se non giorni – di ricostruzione manuale. In sostanza, la portabilità è solo teorica.

Codice non riutilizzabile

Se investi tempo e denaro per costruire un tema su misura, implementare funzionalità con app a pagamento o scrivere codice personalizzato in Liquid, devi sapere che tutto questo rimane legato esclusivamente all’ecosistema Shopify. Non puoi prendere quel lavoro e migrarlo su un’altra piattaforma.

Liquid, il linguaggio di template usato da Shopify, non ha equivalenti nei CMS open source come WooCommerce (che usa PHP e JavaScript), né in Magento o PrestaShop. E le app del marketplace di Shopify non funzionano altrove. Questo significa che ogni euro speso in personalizzazioni è, di fatto, una spesa non capitalizzabile: se un giorno cambi piattaforma, devi ricominciare da zero. Non puoi nemmeno trasferire la logica del tuo tema, perché molti aspetti sono gestiti tramite le API interne di Shopify, non accessibili esternamente.

URL non conservabili

Un altro punto critico riguarda la struttura degli URL, che ha enormi implicazioni SEO. Shopify impone dei prefissi rigidi nei permalink, come /products/, /collections/, /pages/, che non possono essere rimossi o modificati. Questa struttura URL è molto diversa da quella più flessibile di WooCommerce, Magento o PrestaShop, dove puoi costruire gerarchie personalizzate, breadcrumb semantici e permalink ottimizzati per ogni lingua o tipologia di prodotto.

Nel momento in cui decidi di migrare da Shopify a un’altra piattaforma, non potrai conservare la mappa URL esistente, salvo costruire manualmente una serie di redirect 301 – con il rischio concreto di perdere traffico organico, autorità SEO e posizionamenti consolidati negli anni. Per i siti con centinaia o migliaia di URL indicizzate, si tratta di un danno potenzialmente irreversibile.

Limiti che ostacolano ogni evoluzione futura

L’effetto cumulativo di questi vincoli si traduce in una gabbia dorata. All’inizio tutto sembra facile, comodo, fluido. Ma col tempo, man mano che il business cresce, che il numero di prodotti aumenta, che le esigenze cambiano – ti accorgi di avere le mani legate.

  • Vuoi cambiare tema? Devi partire da zero.

  • Vuoi aggiungere nuove funzionalità? Devi comprare (o sviluppare) app aggiuntive.

  • Vuoi integrare un gestionale esterno? Solo se c’è un’app ufficiale… o paghi uno sviluppatore certificato.

  • Vuoi fare A/B test avanzati, headless commerce, logiche condizionali nel carrello? Non puoi, o puoi solo con workaround costosi e instabili.

E quando ti accorgi che Shopify non ti basta più, scopri che uscirne è complicato, lento, costoso. A quel punto il tuo eCommerce non è più uno strumento flessibile e scalabile, ma un contenitore chiuso da cui dipendi in tutto e per tutto.

2. Costi nascosti e commissioni ricorrenti

Uno dei principali argomenti a favore di Shopify, almeno sulla carta, è la sua apparente convenienza. I piani mensili sembrano abbordabili, e tutto viene presentato come “chiavi in mano”: hosting incluso, assistenza, template pronti e nessuna necessità di gestire un’infrastruttura tecnica. Ma questa visione idilliaca viene rapidamente ridimensionata nel momento in cui lo shop inizia a generare vendite e il progetto assume una certa complessità. A quel punto emergono costi nascosti, commissioni inattese e abbonamenti obbligatori che, cumulandosi, trasformano Shopify in una piattaforma più costosa di quanto si pensi.

Piani mensili: prezzi che salgono in fretta

Shopify propone una gamma di piani tariffari mensili che, a prima vista, coprono tutte le esigenze:

  • Basic a 29 USD/mese

  • Shopify (intermedio) a 79 USD/mese

  • Advanced a 299 USD/mese

  • Shopify Plus, la versione “enterprise”, a partire da circa 2.000 USD/mese

Il problema? I limiti di ogni piano diventano evidenti non appena si superano le funzionalità base. Ad esempio, il piano da 29 dollari non consente nemmeno di gestire report avanzati, supporta solo due account staff e impone commissioni più alte. Il piano intermedio (79$) migliora leggermente l’accesso alle funzionalità, ma continua a offrire un checkout blindato e a imporre costi di transazione. Il piano da 299$ è adatto solo a progetti che già fatturano migliaia di euro al mese, ma anche lì, molte funzioni sono ancora bloccate o vincolate a Shopify Payments.

In altre parole, per avere qualcosa di davvero personalizzabile e flessibile, l’unica opzione è passare a Shopify Plus, con un costo mensile di partenza pari a uno stipendio full-time. E questo prima ancora di iniziare a vendere.

Commissioni sulle vendite: una tassa invisibile sul tuo business

Un aspetto poco noto ai nuovi utenti è che Shopify applica commissioni aggiuntive su ogni transazione, oltre alle classiche fee del gateway di pagamento. Ecco come funziona:

  • Se utilizzi Shopify Payments, il sistema di pagamento proprietario della piattaforma, paghi solo la commissione percentuale standard sul transato (di solito intorno al 1.4% – 2.9% + una fee fissa, variabile per paese e tipo di carta).

  • Se scegli invece PayPal, Stripe o altri gateway esterni – magari per comodità o perché hai gi\u00e0 un’infrastruttura integrata – Shopify trattiene fino al 2% extra su ogni transazione.

Questo significa che ogni vendita ti costa due volte: una fee a Stripe o PayPal, e un’altra a Shopify, semplicemente perché non stai usando il loro sistema proprietario. A conti fatti, vendere 10.000€ al mese può comportare 200€ o più di sole commissioni Shopify, indipendentemente dal volume dei tuoi margini. Una penalizzazione che colpisce in modo silenzioso, ma molto concreto, la sostenibilità economica del progetto.

App a pagamento: funzionalità fondamentali… a caro prezzo

Shopify ha scelto una filosofia modulare: le funzioni avanzate non fanno parte del core, ma devono essere aggiunte tramite app esterne. Il loro marketplace ne conta migliaia, ma con una logica simile a quella degli app store mobile: tutto è a pagamento.

Vuoi una sezione recensioni ben fatta? Serve un’app. Vuoi fare upselling o cross-selling con logiche intelligenti? Serve un’altra app. Vuoi gestire correttamente la privacy secondo il GDPR europeo? C’è un’app anche per quello, ovviamente a pagamento. Vuoi funzionalità di backup automatico, notifiche via SMS, codici sconto avanzati, bundle personalizzati, etichette dinamiche sui prodotti, countdown promozionali? Tutto si ottiene solo con plugin esterni.

Ecco il vero problema: molte di queste app non sono gratuite, e i costi si accumulano velocemente. Alcune partono da 5-10 dollari al mese, ma quelle veramente utili possono costare anche 30, 50 o oltre 100 dollari mensili. E spesso non è possibile sostituirle con alternative gratuite, né realizzare quelle stesse funzionalità internamente, a causa dei limiti imposti dalla piattaforma.

Inoltre, ogni app aggiunge codice JavaScript e chiamate esterne, impattando negativamente sulle performance del sito. I tempi di caricamento si allungano, la user experience si degrada e il punteggio di Google PageSpeed può crollare.

Un costo operativo mensile in costante crescita

Mettendo insieme tutto, è facile capire come i costi operativi di Shopify possano superare di molto le aspettative iniziali. Un negozio di medie dimensioni, con qualche migliaio di prodotti e un volume mensile di vendite intorno ai 10.000€, potrebbe trovarsi a sostenere queste spese:

  • 79-299 USD di canone mensile (a seconda del piano)

  • 150-300 USD di fee sulle transazioni

  • 100-300 USD di abbonamenti mensili a varie app essenziali

  • Costi per eventuali sviluppatori Liquid, se occorrono personalizzazioni

Il totale può facilmente superare i 500-900 USD/mese, e questo senza includere spese pubblicitarie, strumenti esterni (CRM, email marketing, ERP) o costi per l’assistenza.

In pratica, Shopify si comporta come un abbonamento ricorsivo alla tua stessa attività: più vendi, più paghi. Ma non sempre ottieni, in cambio, la libertà e le funzionalità che ti servono per scalare davvero.

3. Personalizzazioni limitate e sviluppo complesso

Nel panorama dell’eCommerce moderno, la possibilità di adattare lo shop alle proprie esigenze è fondamentale. Ogni settore ha dinamiche specifiche, ogni azienda ha flussi e processi unici, ogni target ha aspettative particolari. Per questo motivo, la flessibilità della piattaforma è un fattore critico di successo. Purtroppo, Shopify mostra limiti strutturali evidenti proprio in questo ambito.

Nonostante il vasto catalogo di temi pronti all’uso e il marketplace ricco di app, chi cerca una personalizzazione reale, profonda e sostenibile scoprirà presto che Shopify è pensato per chi si accontenta di “quello che c’è”. Per chi invece vuole costruire un progetto su misura, Shopify diventa un sistema rigido, poco scalabile e tecnicamente limitante.

Uso di Liquid: una barriera per chi sviluppa

Shopify utilizza un linguaggio proprietario chiamato Liquid, sviluppato internamente da Shopify stesso. Non è un linguaggio di programmazione completo come PHP o JavaScript, ma un linguaggio di templating, pensato per modificare il layout e presentare contenuti dinamici in modo limitato.

Questo approccio comporta diverse criticità:

  • Gli sviluppatori PHP o backend con esperienza in WordPress, Laravel, Symfony o altri framework non possono riutilizzare le loro competenze. Devono imparare Liquid da zero, con tutti i limiti del caso.

  • Liquid non consente operazioni server-side, come la gestione di file, chiamate asincrone personalizzate, manipolazioni dirette su database o implementazioni logiche condizionali complesse.

  • L’ambiente di sviluppo è vincolato a un sistema sandbox, senza accesso diretto all’infrastruttura. Non si possono creare script personalizzati, né sfruttare strumenti di debugging avanzati.

  • Ogni personalizzazione richiede sviluppatori specializzati in Shopify, con costi orari significativamente più alti rispetto agli stack open source tradizionali. E la reperibilità di figure esperte, soprattutto in italiano, è molto più bassa.

Il risultato? Personalizzare Shopify in profondità non solo è complicato, ma è anche costoso, lento e soggetto a continue limitazioni imposte dalla piattaforma.

Funzionalità avanzate mancanti o inaccessibili

Shopify copre le funzioni base per vendere online. Ma quando si tratta di aggiungere logiche complesse – come bundle dinamici, regole condizionali basate sull’utente, configuratori di prodotto, regole di spedizione avanzate o checkout personalizzati – la piattaforma mostra tutti i suoi limiti.

Ecco alcuni casi concreti:

  • Vuoi offrire un prodotto in bundle solo se nel carrello è presente una combinazione precisa di altri articoli? Shopify non lo supporta nativamente.

  • Vuoi modificare i metodi di pagamento disponibili in base alla nazione o al tipo di cliente (B2B vs B2C)? Non è possibile senza app esterne e workaround.

  • Vuoi costruire un configuratore di prodotto che aggiorni dinamicamente le varianti in base alle scelte dell’utente (es. personalizzazione t-shirt, computer assemblati, combinazioni colore/taglia)? Occorrono plugin costosi, limitati e spesso mal integrati.

Molti di questi problemi si risolvono facilmente su WooCommerce o Magento, dove il codice può essere modificato liberamente. Su Shopify, invece, sei vincolato a ciò che la piattaforma ti concede di fare, e tutto ciò che esula dai percorsi standard richiede app aggiuntive – con i costi e i vincoli visti in precedenza.

Conflitti tra app: un ecosistema fragile

Un altro problema poco discusso è la fragilità dell’ecosistema di app Shopify. Nonostante l’apparente ricchezza di soluzioni nel marketplace, queste app:

  • Non sono progettate per collaborare tra loro. Spesso modificano lo stesso template, intervengono sugli stessi hook o caricano codice JavaScript in conflitto.

  • Aggiungono chiamate esterne e script che appesantiscono notevolmente le prestazioni del sito, rallentando il caricamento delle pagine e peggiorando l’esperienza utente.

  • Possono causare bug intermittenti o incompatibilità improvvise, soprattutto quando Shopify aggiorna la piattaforma o introduce modifiche nella struttura DOM.

  • Ricevono assistenza separata: se qualcosa va storto, Shopify non si assume alcuna responsabilità, e l’assistenza ti rimanda agli sviluppatori delle app – che a loro volta scaricano la colpa su altri moduli installati.

Questa mancanza di coordinamento tra app e la totale assenza di controllo sul codice eseguito rendono molto difficile la manutenzione di uno store complesso. Spesso, invece di costruire un sistema coerente e robusto, si finisce con l’accatastare plugin su plugin, ognuno dei quali rappresenta un potenziale punto di rottura.

Una flessibilità apparente che si scontra con limiti strutturali

In definitiva, Shopify si rivolge a chi accetta le sue regole. È una piattaforma che “va bene” finché le esigenze restano semplici, finché non ci si discosta dai casi standardizzati. Ma appena cerchi di innovare, ottimizzare o integrare, ti scontri con vincoli che non puoi superare: linguaggio limitato, codice non accessibile, app rigide, mancanza di API adeguate, assenza di estensioni server-side.

Un CMS open source – come WooCommerce, Magento o PrestaShop – consente invece di:

  • Modificare direttamente ogni parte del codice, sia frontend che backend.

  • Creare moduli personalizzati in base ai flussi reali del tuo business.

  • Integrare strumenti esterni (gestionali, CRM, ERP) in modo nativo o tramite API aperte.

  • Lavorare su un’infrastruttura flessibile, scalabile, replicabile.

  • Mantenere performance elevate anche in presenza di funzionalità avanzate, grazie all’ottimizzazione lato server (caching, CDN, database tuning, ecc.).

Scegliere Shopify significa, in fondo, accettare di non poter fare tutto ciò che vuoi, ma solo ciò che ti è concesso. Per alcuni è sufficiente. Per chi ha ambizioni più alte, no.

4. Checkout blindato e limitato

Checkout-Blindato

Il checkout rappresenta il momento più delicato e strategico di tutto il funnel eCommerce. È qui che l’utente prende la decisione finale: completare l’acquisto o abbandonare il carrello. Ogni dettaglio – dalla velocità, alla chiarezza del layout, fino alla personalizzazione dell’esperienza – può incidere direttamente sul tasso di conversione. E proprio per questo motivo, le limitazioni imposte da Shopify su questa fase cruciale diventano un ostacolo serio alla crescita di un progetto digitale.

A differenza delle piattaforme open source dove ogni elemento è personalizzabile, Shopify mantiene il processo di checkout rigidamente chiuso per la maggior parte degli utenti, offrendo modifiche significative solo a chi paga il costoso piano enterprise Shopify Plus. E anche in quel caso, i margini di libertà non sono totali.

Checkout non modificabile (a meno che non paghi migliaia di euro al mese)

Per gli utenti dei piani Basic, Standard e Advanced – cioè la stragrande maggioranza – il checkout di Shopify è completamente blindato. Il codice che regola la pagina di checkout non è accessibile, né modificabile tramite temi o codice personalizzato.

Cosa significa, in concreto?

  • Non puoi modificare il layout del checkout per renderlo più coerente con il tuo brand.

  • Non puoi cambiare l’ordine o il comportamento dei campi (es. nascondere o rendere opzionale il numero di telefono).

  • Non puoi applicare logiche condizionali, come visualizzare determinati metodi di pagamento solo per alcuni utenti o in base alla nazione.

  • Non puoi aggiungere campi custom senza app esterne, spesso mal integrate o soggette a limiti.

Solo con Shopify Plus, che ha un costo mensile a partire da circa 2.000 dollari, è possibile intervenire sul template del checkout. Ma anche in quel caso, le modifiche sono vincolate al linguaggio Liquid e soggette a limitazioni documentate da Shopify stessa. In pratica, paghi molto… ma non hai il controllo completo.

No funnel dinamici o logiche di vendita avanzate

Un moderno eCommerce di successo non si limita a presentare prodotti: costruisce funnel di vendita personalizzati che accompagnano l’utente verso l’acquisto, aumentano il valore medio del carrello e migliorano la soddisfazione del cliente.

Shopify, purtroppo, non consente l’implementazione diretta di funnel dinamici, almeno non senza usare costose app esterne. Questo comporta numerose limitazioni operative:

  • Non puoi proporre automaticamente un prodotto complementare o in upsell al momento giusto, nel posto giusto (es. nel carrello o subito prima del pagamento).

  • Non puoi gestire offerte personalizzate in base al carrello dell’utente, al comportamento passato o a criteri demografici.

  • Non puoi introdurre logiche di carrello condizionale, come “se acquisti più di 100€, ottieni uno sconto oppure un omaggio visibile in checkout”.

Tutte queste funzionalità, considerate oggi standard in qualsiasi strategia eCommerce avanzata, richiedono su Shopify delle app specifiche, ciascuna con costi e vincoli propri. Inoltre, molte di queste app lavorano in overlay JavaScript, non direttamente nel flusso checkout, creando esperienze poco integrate e a volte instabili.

Problemi strutturali in ambito B2B

Shopify nasce con una forte vocazione B2C: è perfetto per vendere t-shirt, gioielli, accessori, oggettistica, prodotti di consumo. Ma diventa rapidamente inadatto per chi opera nel B2B, cioè in contesti professionali dove la vendita segue logiche più complesse.

Tra i limiti più comuni per i merchant B2B troviamo:

  • L’impossibilità di gestire listini multipli per gruppi di clienti differenti (es. rivenditori, distributori, clienti VIP).

  • La mancanza di un checkout personalizzabile per chi acquista con partita IVA, con campi fiscali specifici per la fatturazione europea (es. codice SDI, PEC, esenzioni IVA intra-UE).

  • L’assenza di termini di pagamento personalizzati, come il bonifico a 30 giorni, il contrassegno condizionato, o la selezione di metodi di pagamento solo per determinati clienti.

  • La totale inadeguatezza nel gestire flussi di approvazione (es. ordini da confermare internamente prima dell’acquisto finale), tipici nei processi B2B.

Per replicare queste funzioni su Shopify servono app terze e personalizzazioni avanzate… che spesso non sono neanche compatibili con il checkout nativo. È un vicolo cieco tecnico e strategico.

Il risultato: tasso di abbandono più alto e margini di ottimizzazione quasi nulli

Tutti questi vincoli convergono in una conseguenza concreta e misurabile: maggiori tassi di abbandono del carrello. Un checkout non ottimizzabile non consente A/B test, non supporta funnel evoluti, non permette di rimuovere attriti, né di personalizzare il percorso di acquisto.

Questo significa:

  • Conversioni perse perché il checkout è troppo lungo o poco chiaro.

  • Clienti frustrati che non trovano il metodo di pagamento che preferiscono.

  • Opportunità di upsell mancate a causa della rigidità del flusso.

  • Nessuna possibilità di integrare strumenti analitici o funzionalità di profilazione avanzate.

E soprattutto, nessuna libertà di sperimentazione: chi lavora nel marketing sa che testare e ottimizzare continuamente il checkout è uno dei modi più efficaci per aumentare il fatturato. Con Shopify, questo diventa impossibile – a meno di passare a Shopify Plus, e anche lì con compromessi evidenti.

5. SEO limitato e poco personalizzabile

SEO-Limitato-Shopify

Uno degli aspetti più fraintesi da chi si avvicina a Shopify è la sua presunta compatibilità con le pratiche SEO. La piattaforma si pubblicizza infatti come “SEO-friendly”, e in effetti offre alcune funzionalità di base: è possibile impostare titoli, descrizioni, meta tag e integrare Google Analytics o Search Console. Tuttavia, chi lavora seriamente sul posizionamento organico – magari in settori competitivi o su progetti internazionali – scopre presto che Shopify presenta limitazioni strutturali molto difficili da aggirare, se non impossibili da risolvere senza compromessi.

Vediamo nel dettaglio i punti più critici.

Struttura URL imposta e non modificabile

Uno degli aspetti fondamentali per la SEO è la possibilità di costruire URL semantiche, brevi, coerenti e ottimizzate in base alle keyword e alla gerarchia dei contenuti. Shopify, purtroppo, impone una struttura fissa per le principali tipologie di contenuto:

  • /products/nome-prodotto

  • /collections/nome-categoria

  • /blogs/nome-blog

  • /pages/nome-pagina

Questi segmenti sono obbligatori e non possono essere rimossi o modificati. Non è possibile, ad esempio, avere un URL del tipo /catalogo/prodotti/nome-prodotto, o /articoli/nome-blog-post. Questo limita enormemente le strategie SEO avanzate che fanno uso di strutture gerarchiche logiche e keyword-rich nei percorsi URL.

Inoltre, la ripetizione forzata di /products/ e /collections/ crea URL ridondanti, meno leggibili per l’utente e potenzialmente penalizzanti per Google, che predilige percorsi brevi e significativi. In un CMS come WooCommerce o Magento, al contrario, la struttura può essere costruita su misura, fino al singolo carattere.

Redirect gestiti male e scarsamente controllabili

Ogni volta che si modifica lo slug di una pagina o di un prodotto su Shopify, la piattaforma crea automaticamente un redirect 301 dalla vecchia URL alla nuova. Sebbene questa funzione sia utile per evitare errori 404, manca totalmente di granularità e controllo.

I problemi più comuni includono:

  • Catene di redirect: se modifichi più volte la stessa URL nel tempo, Shopify non aggiorna il redirect originario ma crea una serie di redirect concatenati, rallentando il caricamento e generando segnalazioni nei tool SEO (come Screaming Frog o Ahrefs).

  • Nessun accesso diretto al file .htaccess o a regole server: non puoi creare redirect condizionali, wildcard o 410 (per contenuti rimossi definitivamente).

  • Nessun redirect dinamico: non è possibile, ad esempio, gestire redirect basati su lingua, referrer, user-agent o percorso personalizzato.

Per chi ha necessità di gestire migrazioni complesse o redirect SEO-critici dopo una ristrutturazione del sito, Shopify diventa una piattaforma ostile dal punto di vista tecnico.

Gestione meta tag e dati strutturati limitata o complicata

Shopify permette di impostare, per ciascun contenuto, un titolo SEO e una meta description. Tuttavia:

  • Non tutti i tipi di pagina supportano campi meta personalizzati, soprattutto se si usano app esterne o temi con funzioni limitate.

  • I dati strutturati (schema.org) – fondamentali per il rich snippet su Google – sono gestiti direttamente nel tema Liquid e richiedono competenze di sviluppo per essere personalizzati. Non esiste un’interfaccia nativa che consenta di modificarli facilmente.

  • Gli errori nel markup sono frequenti se si interviene manualmente, e Google può penalizzare la pagina se rileva microdati duplicati, mal formati o incoerenti.

In pratica, un’attività che su altri CMS viene gestita con plugin avanzati (come Rank Math su WordPress o SEO Toolkit su PrestaShop), su Shopify diventa un intervento tecnico complesso, con margini di errore elevati e manutenzione difficile.

Breadcrumb e struttura semantica poco flessibili

Le breadcrumb sono un elemento centrale per la SEO tecnica e per l’esperienza utente: aiutano Google a comprendere la struttura del sito e permettono agli utenti di orientarsi durante la navigazione. Shopify, però, gestisce in modo statico e limitato le breadcrumb, legandole principalmente al sistema di “collections”.

I problemi includono:

  • Mancanza di gerarchie reali: i prodotti non hanno una relazione gerarchica nativa con le categorie. Possono appartenere a più “collections”, ma questo non si riflette nella struttura del sito.

  • Breadcrumb limitate: nella maggior parte dei temi, le breadcrumb sono piatte, spesso non cliccabili o poco semanticamente strutturate. Implementare breadcrumb SEO-friendly (con markup JSON-LD o Microdata) richiede modifiche manuali nei template Liquid.

  • Nessuna gestione centralizzata: ogni modifica va fatta a livello di tema e può essere sovrascritta da aggiornamenti, senza un punto di controllo unificato.

Per chi lavora con siti eCommerce di grandi dimensioni, con centinaia di categorie, sottocategorie e relazioni complesse tra prodotti, questa rigidità rappresenta un freno evidente all’ottimizzazione.

Limiti SEO strutturali che bloccano la crescita organica

Tutti questi fattori, messi insieme, creano un ambiente poco adatto a una strategia SEO avanzata e scalabile. Shopify funziona bene per piccoli shop che non puntano sul traffico organico, ma chi basa parte del proprio successo sulla SEO troverà la piattaforma frustrante.

  • Non si possono creare landing ottimizzate per keyword specifiche con URL e metadati su misura.

  • Le traduzioni SEO (hreflang, meta tag multilingua) sono mal gestite o del tutto assenti, a meno di app esterne.

  • Le performance tecniche – come il tempo di caricamento e il core web vitals – possono essere compromesse dall’uso esteso di app esterne e codice client-side.

In sintesi, Shopify è SEO-friendly solo in apparenza. Nella pratica, impone limiti troppo rigidi per chi intende costruire una presenza organica solida, lavorando su contenuti, struttura, dati e semantica.

6. Nessun accesso all’infrastruttura sottostante

Chi ha familiarità con lo sviluppo avanzato, l’ottimizzazione sistemistica o l’integrazione di applicazioni aziendali sa quanto sia importante avere il controllo completo sull’infrastruttura. Anche in ambienti gestiti, la possibilità di intervenire in profondità sul server, sul database o sulle configurazioni avanzate rappresenta un requisito essenziale per la scalabilità, la sicurezza e l’efficienza operativa.

Shopify, invece, adotta una filosofia “black box”: ti offre un ambiente chiuso, preconfezionato, che funziona secondo le sue regole e non è in alcun modo accessibile sotto il cofano. Per alcuni può sembrare rassicurante. Ma per chi ha esigenze più avanzate, questa impostazione si traduce in un grave limite operativo.

Nessun accesso SSH o SFTP evoluto

In Shopify non esiste la possibilità di accedere al server via SSH, né in modalità root né come utente limitato. Questo significa:

  • Non puoi caricare file via terminale, gestire versioni, modificare directory o installare strumenti personalizzati.

  • Non puoi eseguire script in linguaggi comuni (es. Bash, Python, PHP) per automatizzare operazioni lato server.

  • Non puoi nemmeno accedere al filesystem in modo avanzato via SFTP: l’unico modo per modificare i template è attraverso l’interfaccia del tema (online) oppure tramite l’utilizzo di tool limitati come Shopify CLI, che operano comunque in modalità sandbox.

Per chi è abituato a lavorare con ambienti Linux, a versionare il codice direttamente sul server o a monitorare file di log in tempo reale, questa è una castrazione tecnica che impedisce qualsiasi intervento “dietro le quinte”.

Nessun cron job personalizzabile

Un’altra grave limitazione riguarda la gestione di task pianificati. In qualunque CMS self-hosted è possibile configurare cron job, ossia operazioni programmate nel tempo, che vengono eseguite periodicamente dal sistema operativo.

Su Shopify, invece:

  • Non puoi pianificare processi automatici per sincronizzare prodotti da fonti esterne, aggiornare giacenze, inviare report personalizzati o effettuare backup incrementali.

  • L’unico modo per gestire attività ripetitive è affidarsi a webhook o a servizi esterni (come Zapier, Integromat o strumenti custom basati su API), con tutti i limiti, i costi e le dipendenze che questo comporta.

  • Non puoi orchestrare processi di back-office avanzati, come automatizzazioni legate a fatturazione, flussi di magazzino o aggiornamenti legati a campagne promozionali.

In sostanza, tutto ciò che richiede una logica di scheduling è bloccato, a meno di ricorrere a soluzioni esterne complesse e soggette a latenza e fallibilità.

Nessun accesso diretto al database

Shopify non consente in alcun modo l’accesso diretto al database. Non puoi connetterti via MySQL, PostgreSQL o altri client SQL per eseguire query, report personalizzati, ottimizzazioni o estrazioni massive di dati.

Le uniche modalità di accesso ai dati sono:

  • API REST e GraphQL, che permettono di interrogare parzialmente le entità del sistema, ma con limiti di velocità (rate limit) e incompletezza delle informazioni.

  • Esportazioni CSV, disponibili solo per alcuni oggetti (prodotti, clienti, ordini), spesso prive di relazioni complesse, campi personalizzati o cronologia dettagliata.

Questo rappresenta un grosso ostacolo per chi ha esigenze di business intelligence, data mining, o reporting avanzato, oppure per chi vuole integrare Shopify in un ecosistema aziendale più ampio (ERP, BI, data warehouse, ecc.).

Con un CMS open source, puoi costruire query su misura, schedularle, ottimizzarle, replicarle. Con Shopify, sei costretto a lavorare con strumenti limitati, incompleti e spesso inefficienti.

Zero possibilità di tuning delle performance

Il tuning delle performance è una delle leve fondamentali per un eCommerce che vuole crescere. La possibilità di ottimizzare PHP, utilizzare Redis o Memcached, regolare l’uso della CPU o del disco, impostare policy di caching su misura, integrare una CDN di fiducia… sono tutte strategie che possono abbattere i tempi di risposta e migliorare drasticamente la user experience.

Su Shopify:

  • Non puoi scegliere la versione di PHP (perché non lo usi).

  • Non puoi implementare caching server-side o modificare le policy esistenti.

  • Non puoi installare strumenti di monitoraggio come New Relic, Datadog, Prometheus, ecc.

  • Non puoi nemmeno sapere dove fisicamente si trova il tuo shop: Shopify gestisce tutto in modo opaco, con CDN globali e cache aggressive, ma senza darti alcuna possibilità di controllo o configurazione.

Questo è accettabile per chi ha poche visite e un catalogo semplice. Ma per progetti con traffico elevato, picchi stagionali, esigenze di performance critiche o richieste SLA stringenti, la mancanza di controllo sullo stack infrastrutturale è un limite non negoziabile.

Shopify va bene solo per chi?

Dopo un’analisi approfondita dei limiti strutturali e tecnici di Shopify, è lecito chiedersi se la piattaforma sia sempre e comunque da evitare. La risposta è no: esistono casi in cui Shopify può rappresentare una scelta legittima, talvolta persino funzionale, soprattutto in fase iniziale. Non è una piattaforma “sbagliata” in senso assoluto, ma è importante chiarire bene per quali tipologie di progetti è realmente adatta.

Shopify può funzionare discretamente bene per chi parte da zero, ha un catalogo estremamente limitato e nessuna esigenza particolare in termini di personalizzazione, performance, scalabilità o integrazione con sistemi esterni. È particolarmente utile per piccoli imprenditori digitali, artigiani, professionisti del fai-da-te o microbrand che vogliono lanciare velocemente un primo shop online. In questi casi, la semplicità dell’interfaccia e il fatto di non dover gestire un server rappresentano un vantaggio: bastano pochi clic per essere online, vendere qualche prodotto, testare il mercato e fare le prime esperienze con il commercio elettronico.

Anche per le startup che devono validare rapidamente un’idea di business, Shopify può offrire una scorciatoia iniziale. Consente di costruire un MVP (Minimum Viable Product) con spesa contenuta, senza la necessità di assumere uno sviluppatore o configurare un’infrastruttura tecnica complessa. In un contesto di test o lancio esplorativo, dove l’obiettivo è capire se il prodotto “funziona” e se c’è domanda, può avere senso utilizzare una soluzione pronta all’uso, anche se limitata.

Infine, c’è il caso di negozi fisici che vogliono una presenza online “di rappresentanza” con uno shop minimale. Se si tratta di vendere poche referenze in modo semplice, magari con l’integrazione del POS Shopify per unificare l’inventario, può bastare. Ma il discorso cambia radicalmente nel momento in cui l’attività inizia a crescere.

Quando un progetto eCommerce comincia a maturare, ad aumentare il numero di prodotti, a introdurre varianti, lingue diverse, magazzini multipli, flussi promozionali complessi, necessità B2B o integrazioni con gestionali e CRM, Shopify inizia a mostrare tutte le sue debolezze. I limiti prima invisibili diventano ostacoli operativi. Le app che un tempo sembravano risolutive si moltiplicano, si sovrappongono, creano conflitti tra loro. Le performance peggiorano, i tempi di caricamento si allungano, i costi ricorrenti aumentano in modo spesso incontrollabile. Ogni modifica o personalizzazione richiede workaround, sviluppatori specializzati o app a pagamento, e la gestione complessiva del sito diventa sempre più intricata.

In questo scenario, Shopify non è più uno strumento utile, ma una gabbia funzionale. E molti imprenditori digitali, che inizialmente lo avevano scelto per semplicità, si trovano a dover pianificare una migrazione verso piattaforme più flessibili e robuste come WooCommerce, Magento o PrestaShop. Per questo è importante capire fin da subito se il tuo progetto appartiene a quella ristretta fascia di business che può davvero beneficiare di Shopify, o se stai semplicemente imboccando una strada facile… che diventerà molto complicata più avanti.

Shopify domina in quantità, ma non in qualità: cosa ci dicono i dati di BuiltWith

Dai grafici di BuiltWith relativi a Shopify, emerge una crescita costante – e in certi periodi persino vertiginosa – del numero complessivo di siti Shopify attivi. Il tracciamento sui primi 1.000.000 di siti (linea rossa) mostra chiaramente una curva ascendente dal 2015 in poi, con un picco intorno al 2024. Shopify ha conquistato una posizione di rilievo nel panorama globale, e in termini di numeri assoluti è indubbiamente una delle piattaforme più diffuse al mondo.

Tuttavia, se osserviamo i dati relativi al Top 100k (linea blu) e soprattutto al Top 10k (linea verde) – cioè i siti più visitati e di maggior successo su scala globale – la realtà cambia drasticamente. Shopify è quasi assente tra i 10.000 siti più trafficati del mondo e ha una presenza molto ridotta anche nei primi 100.000. Questo significa che, sebbene molti shop vengano creati su Shopify, pochissimi riescono a raggiungere i livelli alti del mercato online.

È un dato che non si può ignorare: la maggior parte dei siti Shopify si colloca nella fascia bassa in termini di traffico e importanza. Questo conferma che Shopify viene scelto prevalentemente da piccoli commercianti, freelance, micro-imprenditori e startup in fase embrionale – soggetti che puntano a una presenza online rapida e a basso costo, ma non necessariamente strutturata per durare, scalare o affrontare mercati competitivi.

Magento: meno siti, ma alta concentrazione tra i top player

Il grafico di Magento mostra un trend opposto. Sebbene il numero complessivo di installazioni sia in calo negli ultimi anni – complice anche la transizione verso Adobe Commerce Cloud e la dismissione della versione 1.x – Magento continua a essere fortemente rappresentato nei Top 10k e Top 100k.

Questo è indicativo di una piattaforma usata da aziende strutturate, brand internazionali e progetti enterprise, dove l’eCommerce è una leva centrale del business e dove serve il massimo della flessibilità tecnica. Magento è più difficile da gestire, certo, ma è scelto da chi ha bisogno di funzioni avanzate, gestione multistore, checkout personalizzati, integrazioni con ERP, sistemi di logistica, strumenti di marketing automation e modelli B2B complessi.

In sintesi, Magento non è per tutti, ma è chiaro che chi lo sceglie lo fa con una strategia chiara e con obiettivi ambiziosi, ed è per questo che lo ritroviamo nelle fasce più alte del mercato eCommerce globale.

Le alternative open-source: WooCommerce, Magento, PrestaShop, OpenCart, Sylius

Per chi desidera un progetto eCommerce davvero personalizzabile, scalabile e indipendente, le soluzioni open-source rappresentano oggi l’alternativa più solida, flessibile e sostenibile nel medio-lungo periodo. Mentre Shopify offre una soluzione “chiavi in mano” ma rigidamente chiusa, i CMS open-source permettono di costruire il proprio negozio online su misura, adattandolo completamente al modello di business, al settore, al pubblico e agli obiettivi aziendali.

Scegliere una piattaforma open-source non significa “fare tutto da soli” o rinunciare alla stabilità: significa non accettare compromessi quando si tratta di funzionalità, controllo, performance e crescita. Con il giusto hosting gestito e un supporto tecnico competente, anche le piattaforme open-source possono offrire un’esperienza d’uso fluida e sicura, superiore a quella di molte soluzioni SaaS.

Vediamo nel dettaglio le piattaforme più affidabili e diffuse oggi sul mercato.

WooCommerce: l’estensione perfetta per chi ama WordPress

WooCommerce è l’estensione eCommerce più popolare per WordPress, e rappresenta la scelta ideale per chi ha già familiarità con questo CMS. Leggero, modulare, flessibile, WooCommerce permette di trasformare un sito WordPress in un negozio completo in pochi clic, mantenendo tutte le potenzialità del CMS sottostante: blog, landing page, funnel, plugin SEO, integrazioni marketing.

Uno dei principali punti di forza è la vastissima community internazionale: decine di migliaia di plugin, temi compatibili, sviluppatori, guide e documentazione rendono WooCommerce una piattaforma viva, aggiornata e in costante evoluzione.

Pur essendo adatto anche a piccoli shop, WooCommerce può scalare molto bene se ospitato su server ottimizzati: caching, database tuning, CDN, tecnologie come Redis o Varnish permettono di ottenere performance elevate anche con cataloghi importanti e traffico elevato. Inoltre, l’integrazione con strumenti esterni (ERP, CRM, gateway di pagamento, marketplace) è diretta e potente, grazie alle numerose API e alla compatibilità con standard open.

Magento (Adobe Commerce): la potenza per le aziende strutturate

Magento è il CMS eCommerce enterprise per eccellenza. Nato per gestire scenari complessi, cataloghi vasti, flussi personalizzati e logiche B2B, è oggi una delle piattaforme più robuste al mondo. Dopo l’acquisizione da parte di Adobe, Magento ha mantenuto la sua versione open-source (Magento Open Source), ma ha anche dato vita a una versione cloud-based (Adobe Commerce) con supporto commerciale.

Magento si distingue per la sua architettura modulare e per le funzionalità avanzate native: supporto multistore e multilingua, listini differenziati per cliente, regole promozionali condizionali, ruoli personalizzati per il back-office, checkout completamente modificabile, gestione avanzata degli stock, reportistica interna evoluta.

È una piattaforma che richiede competenze tecniche elevate, ma che consente un controllo totale su ogni aspetto del business online. È la scelta perfetta per realtà strutturate, retail medio-grande, progetti internazionali, brand con esigenze omnicanale o fortemente integrati con i sistemi interni aziendali.

PrestaShop: equilibrio tra usabilità e potenza

PrestaShop è una piattaforma eCommerce open-source nata in Francia, oggi molto popolare in Europa. Si distingue per un’ottima interfaccia utente nel pannello di amministrazione, una gestione intuitiva dei prodotti e delle categorie, un sistema nativo di regole di spedizione, tasse e scontistiche tra i migliori nel panorama open source.

PrestaShop rappresenta un compromesso ideale tra semplicità e potenzialità: è abbastanza semplice da gestire per freelance e agenzie che curano siti per PMI, ma anche abbastanza potente per sostenere progetti di eCommerce con migliaia di prodotti e flussi transazionali strutturati.

Il marketplace ufficiale di moduli e temi offre un ampio ventaglio di estensioni – alcune gratuite, altre a pagamento – per gestire SEO, GDPR, marketing automation, integrazioni con corrieri, metodi di pagamento alternativi, logistica avanzata. Inoltre, l’infrastruttura modulare e la comunità attiva rendono PrestaShop una scelta molto solida per chi vuole crescere senza essere bloccato da vincoli tecnici o commerciali.

OpenCart: essenziale, leggero e facilmente estendibile

OpenCart è un CMS eCommerce open-source meno conosciuto in Italia rispetto agli altri, ma molto apprezzato nel mondo anglosassone e in Asia. È progettato per essere snello, veloce, facilmente installabile e semplice da usare, anche per chi non ha grandi competenze tecniche.

Il pannello di amministrazione è chiaro, il sistema di gestione prodotti è rapido, e la struttura dei file è facilmente modificabile da sviluppatori con esperienza PHP. È ideale per chi vuole un sistema minimale, ma con la possibilità di estenderlo tramite moduli e componenti. Esistono marketplace specifici, come OpenCart Extension Store, che offrono centinaia di plugin per SEO, pagamenti, logistica, marketing e interfacce grafiche.

OpenCart è adatto a piccoli e medi progetti che cercano un’alternativa open-source leggera, con un codice pulito e una curva di apprendimento contenuta.

Sylius: l’approccio headless e moderno per progetti su misura

Sylius è un CMS eCommerce open-source sviluppato in Symfony, uno dei più moderni framework PHP. A differenza degli altri, non è pensato come piattaforma “pronta all’uso”, ma come base flessibile e componibile per progetti eCommerce personalizzati. Sylius è la scelta ideale per aziende che vogliono sviluppare soluzioni eCommerce su misura, magari con frontend headless (es. React, Vue) o integrati in ecosistemi digitali complessi.

Sylius si rivolge a team tecnici avanzati, startup digitali e aziende con esigenze architetturali particolari. Offre una documentazione eccellente, una community professionale e un’architettura completamente testabile, modulare, estendibile. È perfetto per chi vuole andare oltre il CMS e costruire veri e propri sistemi eCommerce composabili.

Oltre Shopify: libertà, controllo e scalabilità reale

Tutte queste piattaforme, se ospitate su infrastrutture adeguate, aggiornate regolarmente e affiancate da un team sistemistico esperto, possono offrire un’esperienza di utilizzo paragonabile – se non superiore – a quella di Shopify, con una differenza sostanziale: la libertà.

Libertà di gestire la struttura URL, di creare il checkout come desideri, di scegliere il server e le prestazioni, di aggiungere funzionalità senza passare da un marketplace vincolato, di migrare dove vuoi, quando vuoi. E soprattutto, libertà di costruire un progetto eCommerce di proprietà, senza dover pagare commissioni su ogni vendita, né sottostare a policy imposte da un’azienda terza.

Scegliere una piattaforma open-source significa fare un investimento più profondo all’inizio, ma anche costruire un progetto davvero tuo, senza limiti né sorprese. In un mondo dove l’agilità e l’indipendenza tecnologica sono fattori strategici, è una differenza che può determinare il successo sul lungo periodo.

Casi reali: quando Shopify diventa un problema

I casi reali parlano chiaro. Un cliente parte con Shopify, cresce, inserisce più lingue, più categorie, più listini. Dopo 18 mesi ha 10.000 prodotti, tre listini differenti, flussi B2B condizionati da categorie merceologiche. Il checkout non può più essere adattato. Le promozioni richiedono app costose. Le performance calano. Il costo mensile supera i 1.000 euro. A quel punto, il cliente si trova obbligato a migrare, con tutto ciò che comporta: perdita di tempo, rischio di SEO, costi di reimplementazione.

Oppure, un altro caso. Cliente SEO-oriented, lavora sui contenuti, punta a posizionare ogni categoria, ogni scheda prodotto, ogni variante. Shopify lo limita: URL non modificabili, breadcrumb rigide, struttura del sito non coerente con l’alberatura SEO. Dopo sei mesi, il traffico è basso. Il sito è carino ma invisibile. Migra su WooCommerce, con tema SEO-oriented, e nel giro di 90 giorni il traffico raddoppia.

Infine, un’azienda che gestisce dati sensibili e deve essere conforme al GDPR. Scopre che Shopify non può garantire l’hosting dei dati in Europa. I server sono negli Stati Uniti, e le clausole contrattuali non bastano a soddisfare le autorità di controllo. Il rischio è elevato, la compliance compromessa. Migrazione forzata verso un hosting europeo, con CMS open source e supporto tecnico dedicato.

Conclusioni: Shopify non è il male, ma non è per tutti

L’obiettivo di questa analisi non è demonizzare Shopify. Sarebbe ingiusto e scorretto: la piattaforma ha dei meriti evidenti e ha abbassato la soglia d’ingresso per migliaia di imprenditori digitali in tutto il mondo. La sua interfaccia intuitiva, la curva di apprendimento contenuta e l’integrazione rapida con i principali strumenti di marketing l’hanno resa popolare, e a ragione. Per determinati profili – in particolare chi sta lanciando un MVP, piccoli commercianti, artigiani o startup in fase di test – Shopify può rappresentare una soluzione pragmatica, veloce ed economicamente sostenibile nel breve termine.

Ma è proprio questo il punto: Shopify ha senso solo in una prospettiva tattica, non strategica. Funziona bene quando il business è semplice, lineare, senza grandi complessità operative, e soprattutto quando non c’è l’ambizione di crescere in modo significativo, di personalizzare ogni parte dell’esperienza utente o di costruire un ecosistema digitale integrato. Non appena il progetto inizia a scalare – più prodotti, più lingue, più logiche, più team, più sistemi esterni – Shopify rivela la sua vera natura: una piattaforma SaaS chiusa, con costi ricorrenti crescenti, flessibilità limitata e margini di manovra sempre più stretti.

In questo scenario, le alternative open source tornano ad assumere una valenza strategica. Un CMS come WooCommerce, Magento, PrestaShop, OpenCart o Sylius – ospitato su un’infrastruttura performante, gestita da un team sistemistico competente – ti offre una prospettiva completamente diversa: ti mette alla guida del tuo progetto. Ogni scelta è tua. Ogni funzione può essere sviluppata ad hoc. Ogni parte della tua piattaforma può evolvere con il tuo business, senza dover pagare una percentuale su ogni vendita, senza essere soggetto a policy unilaterali, senza dipendere da aggiornamenti decisi da altri.

Scegliere un CMS open source oggi non è più sinonimo di complessità o rischio. Al contrario: con i giusti partner tecnici puoi avere aggiornamenti automatici, backup giornalieri, monitoraggio continuo, supporto umano, performance elevate, sicurezza avanzata. Il tutto con un costo fisso, trasparente, e soprattutto senza rinunciare alla proprietà e alla sovranità sul tuo shop.

Non bisogna confondere la semplicità iniziale con la sostenibilità nel tempo. Shopify può darti tutto pronto in un’ora, ma quando il business cambia (e cambierà), potresti scoprire che quello che oggi ti semplifica… domani ti limita.

E non si tratta solo di codice, plugin o infrastrutture. Si tratta di visione imprenditoriale. Vuoi costruire qualcosa di tuo, che duri, che cresca, che si adatti? O vuoi affidarti a un fornitore che, con una sola modifica ai propri termini di servizio o ai piani tariffari, può cambiare radicalmente le regole del gioco?

Scegliere una piattaforma open source, quindi, non è un ritorno al passato, ma un investimento sul futuro. Non significa fare tutto da soli, ma scegliere con chi lavorare, come costruire, cosa controllare. Significa libertà. E nel mercato digitale contemporaneo – dove ogni sei mesi cambia tutto, dove le esigenze si evolvono, dove l’innovazione è continua – la flessibilità è la valuta più preziosa che puoi possedere.

Se stai progettando un eCommerce con obiettivi seri, se vuoi crescere davvero, se vuoi costruire un asset che sia tuo in tutto e per tutto, allora fermati un attimo. Shopify potrebbe sembrare la strada più comoda… ma non sempre è quella che ti porterà più lontano.

 

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